LA STAMPA 18 OTTOBRE 1987
Quel milione d’italiani che divennero francesi EMIGRAZIONE NEGLI ANNI 20
Parlare di immigrazione, oggi in Francia, è quasi una provocazione. Soprattutto se questa immigrazione è riuscita a integrarsi nel tessuto sociale con il quale si è trovata a convivere; anzi, lo ha stimolato e arricchito. Una provocazione perché da qualche anno a questa parte il problema dei nuovi immigrati è diventato esplosivo. Con allarmanti sussulti di xenofobia, con disperate analisi sull’impermeabilità di culture diverse, di tradizioni lontane, perfino con lo spettro di lotte di religione. Ma proprio per questo loro sapore di provocazione, le tre giornate dedicate all’immigrazione italiana in Francia negli Anni Venti (appena concluse all’Istituto di Cultura italiano di Parigi) hanno superato i confini della ricerca storica. Si sono proposte come una riflessione collettiva — alla quale hanno partecipato quaranta tra i maggiori esperti italiani e francesi — su un processo che è stato difficile, certe, in molti casi tortuoso, ma che potrebbe essere l’esempio da seguire anche adesso. Nonostante le differenze di epoca, di specificità sociali, culturali e nazionali. Un simbolo, insomma, da rivalutare (e da approfondire) per affrontare con più serenità le nuove lacerazioni. Ed è su questo carattere di simbolo di un’integrazione riuscita che Gilles Martinet, scrittore, italianista ed ex ambasciatore a Roma, ha insistito introducendo i tre giorni di lavori. Una vera maratona, accompagnata da mostre fotografiche e da proiezioni di film, che ha rivisitato il “fenomeno italiano”, nella Francia degli Anni Venti attraverso gli interventi (per ricordarne soltanto alcuni) di Norberto Bobbio, Pierre Milza. Enrico Serra, Pierre Guillaume, Paolo Gobetti o Catherine Lucas. Dopo i colloqui organizzati già nell’83. nell’85 e nell’86 sui rapporti con la Francia di Piero Gobetti, Silvio Trentin e Pietro Nenni — dedicati quindi all’immigrazione politica- — questo che si è appena concluso si è rivolto a quei due milioni e mezzo di italiani che in dieci anni hanno passato le Alpi: molti per poi tornare in patria, altri — quasi un milione — per restare definitivamente nel Paese d’adozione. Sono state esaminate le loro origini, la loro ripartizione socio-professionale, le zone di installazione, le relazioni con la popolazione locale. Anche 1 loro comportamenti quotidiani: il lento ma progressivo modificarsi di costumi e abitudini. Finalmente, ha detto Bobbio, ci si occupa della gente comune e non soltanto dei politici !. Quello che è emerso è un quadro complesso, ma appassionante. Ricco di dati poco noti, come la radiografia delle provenienze degli immigrati che preferirono 1’America d’Europa, (piemontesi, lombardi, emiliani, toscani, friulani e veneti) a quella vera, dall’altra parte dell’Atlantico, che richiamò soprattutto l’emigrazione dal Mezzogiorno. Senza trascurare, ancora, l’importanza della componente politica di un movimento che si sviluppò negli anni dell’avvento del fascismo. E tra i documenti fotografici ci sono alcune delle 30 mila schede che la polizia di Mussolini raccolse in Francia negli ambienti democratici.
E.S.