Note a cura di Giuseppe Beppe Conti
Il nome di Gravago inizia ad apparire in atti ufficiali durante il sec. VIII, ed è legato alla fondazione del Monastero dedicato all’ Arcangelo San Michele.
Nella zona piacentina vengono enumerati nel privilegio di Ildebrando, Re dei
Longobardi, del 21-3-744, ben 5 Monasteri, in città quelli di San Tommaso e quello di San Siro, in Diocesi quello di Fiorenzuola, di Val di Tolla, e di Gravago.
Osservando la zona di Gravago da Bardi si può notare una netta separazione tra la parte alta e la parte bassa.
Il declivio abbastanza dolce che partendo dal torrente Noveglia giunge fino ad una linea approssimativamente identificabile con le frazioni di Brè, Pieve, Bergazzi, Osacca, si interrompe bruscamente contro una serie di contrafforti rocciosi a forte pendenza oltre i quali inizia la zona boschiva ( la Tagliata , Cornaleto), ecc. che culmina con il Barigazzo. Su uno dei contrafforti più selvaggi si notano i resti di due costruzioni, non facili da scorgere, a causa del colore cupo che si confonde con le arenarie, esse sono i resti del Castello di Gravago e, spostata a monte rispetto al Castello stesso, la presunta torre di avvistamento denominata la Battagliola.
Importante per le comunicazioni fra la valle del Ceno e quella del Taro attraverso il valico del Santa Donna (precedentemente chiamato Sant’ Abdon), il castello dominava questo punto di passaggio, obbligatorio anche per la via, di maggior rilievo, che univa Piacenza al mare per il passo del Bratello.
Dopo la Rocca di Bardi, che ha continuato, dal 1000 ad eccellere dominatrice sulla valle del Ceno, il castello di Gravago e sempre stato il più forte di quel territorio tanto importante e contrastato in tutte le guerre intestine di quei tempi. E’ nominato nella divisione patrimoniale dei Platoni, collegati con i Granelli-Lusardi. Il fortilizio rimase per un certo periodo tra i fratelli Platoni come pegno di unione famigliare, ma nel gennaio del 1234 dipendeva dal Comune di Piacenza; veniva poi ceduto ad Ubertino Landi. Sotto Ubertino il Castello ebbe il suo periodo più fulgido.
Lo ebbe prima attraverso famigliari e congiunti, e poi direttamente quando
inseguito e sconfitto dai dominatori di Piacenza, Ubertino aveva dovuto abbandonare Bardi e ritirarsi nel Castello di Gravago, che per alcuni anni restò il suo unico rifugio sicuro.
Infatti, nell’estate del 1269 allorché i consoli piacentini, con le milizie cittadine
rafforzate da contingenti venuti da Milano e da Parma, strinsero d’assedio la rocca di Bardi, e l’ebbero nel novembre per mancanza di vettovaglie, con una capitolazione pure assai favorevole, Ubertino che aveva saputo uscirne a tempo dichiarando irrita e nulla quella resa si ritirò, con forte gruppo di fuoriusciti, a Gravago. Il castello era occupato da parecchi anni da Alberico di Gravago suo congiunto (dice appunto il Musso “come “Albericus de Gravago et frater intraverunt in Castrum eorum de Gravago”), e di la e dai vicini Castelli Ubertino continuò a combattere i nemici, e li costrinse a loro volta a richiudersi in Bardi “et multum infestabunt illos de dicta Rocca de Bardi”, come afferma il Musso (Musso: Cronicon in Rer .Ital Scriptores), che descrive tutte le fasi di quella lotta asprissima, nella quale Ubertino riuscì sempre vincitore, tanto in Val Ceno come in Val Taro dove spesso mandava le milizie radunate a Gravago, in appoggio ai Lusardi che battevano clamorosamente i Fieschi da Lavagna.
Grande fonte di storia.9