VALCENESI DIMENTICATI O…………QUASI. N. 29. BY DIZIONARIO BIOGRAFICO DEI PARMIGIANI di ROBERTO LASAGNI.

MUSA ROMEO
Calice di Bedonia 5 maggio 1882-Milano 3 marzo 1960
Figlio di Giovanni e di Gilda Antolotti, che fu anche sua prima maestra. Studiò a Parma, allievo di Cecrope Barilli, e a Firenze, discepolo di Adolfo De Carolis. Dal 1902 al 1904 prestò servizio militare in Eritrea, colonia italiana. Rientrato in Italia, iniziò la carriera scolastica come insegnante di disegno prima a Mosso Santa Maria (Vercelli), dove nel 1911 sposò Valmira Sella, poi a Grignasco, successivamente a Tolmezzo e a Nuoro. Richiamato alle armi nel 1915, partecipò alla prima guerra mondiale nell’Arma del Genio fino alla vittoria nel 1918. Ritornato alla vita civile riprese l’insegnamento nell’Istituto Normale di forlimpopoli, dove decorò la cappella battesimale della chiesa di San Pietro e progettò la fonte battesimale che venne costruita in ceramica a Faenza. Nel 1924 venne trasferito all’Istituto magistrale di Campobasso, dove insegnò fino al 1933. Cominciò allora il periodo di intensa attività artistica, con la produzione di xilografie che illustrano la vita delle campagne molisane. Nel 1933 venne trasferito all’Istituto Magistrale Gaetana Agnesi di Milano. In quel periodo si dedicò particolarmente alla xilografia, anche illustrando libri e racconti per ragazzi che hanno come protagonisti animali. Il Musa fu pure autore di numerose novelle per ragazzi, come La luna sul salice, che rivela e interpreta l’umorismo agreste delle popolazioni attorno a Bedonia. Con lo pseudonimo Musmeo o Musa da Calice celebrò con bonaria arguzia le gesta di Disolla e Tognu con poesie in dialetto valtarese, sempre illustrate con xilografie. Negli anni 1938-1945 affrescò alcune chiese: Codogno di Albareto, Bedonia, Allegrezze, Borgo val di Taro. Trattò ogni sorta di pittura: a olio, all’acquerello, a fresco, ed eseguì anche acqueforti e miniature. Nel 1903 esordì a Firenze, alla promotrice, con L’inverno ai boschi di Ferriere. In seguito partecipò saltuariamente a esposizioni tenutesi a Milano, Bologna, Forlì, Cesena, Campobasso, Aquila e Torino. In Eritrea eseguì il Ritratto di San E. Ferdinando Martini e le decorazioni del Palazzo governatoriale di Asmara. Riprodusse, in acquerelli e oli, paesaggi di varie località d’Italia e dell’Eritrea. Nella Cappella dei Combattenti di Compiano, nel Battistero di Codogno e in quello di Forlimpopoli dipinse a fresco le decorazioni murali. Una sua grande tela, La sagra del Matese, orna la biblioteca del Provveditorato agli Studi del Molise e una dozzina di quadri riproducenti paesaggi, castelli, usi e costumi del popolo molisano si trova nel Convitto Nazionale Mario Pagano di Campobasso. Di duemila legni per xilografie, oltre la metà andarono distrutti nelle incursioni aeree del 1943 a Milano. Illustratore di libri, si ricordano in questo genere le tavole per i Canti popolari dell’Appennino parmense di Jacopo Bocchialini e Il bosco selvaggio di K. Grahame, comprendente 250 xilografie originali. Ottenne la medaglia d’argento alla Mostra d’Arte Sacra de L’Aquila, altra del Ministero della Pubblica Istruzione alla I Mostra d’Arte molisana e la medaglia d’oro dal Circolo Artistico di Campobasso. Fu vice presidente degli Incisori d’Italia e partecipò a tutte le loro mostre. La matrice culturale del Musa affonda le radici nell’ambiente fiorentino, alla scuola di Adolfo Carolis, docente all’Accademia di Firenze. A contatto col fertile illustratore di gran parte della produzione letteraria di d’Annunzio, il Musa trasse dal maestro marchigiano illuminati insegnamenti. Si accostò all’inizio della sua attività allo spirito dei preraffaelliti, approdando in seguito allo studio profondo dell’opera michelangiolesca. Strettamente vincolato a una propria concezione romantico-letteraria dell’arte, ligio alla tradizione e ai canoni accademici, decisamente sensibile ai fermenti liberty, abilissimo disegnatore, si trovò, per naturale vocazione, nelle condizioni ideali per preparare ai difficili cimenti dell’incisione le nuove leve dei futuri artisti del Novecento. Se molteplice, varia e complessa fu l’attività artistica del Musa, non vi è dubbio che l’opera che più di tutto ne esaltò i pregi e la personalità fu il ricchissimo repertorio xilografico fissato in duemila pezzi, alcuni dei quali toccano un’altissimo vertice di contenuto estetico e di perfezione esecutiva. Paesaggio, figura e tavolette di ex libris nacquero dalla sua fervida fantasia di infaticabile creatore. Conobbe a fondo la botanica appenninica e scelse con occhio esperto gli alberi adatti (pero, noce, bosso) per ottenere tavole compatte e senza nodi, da rendere levigate come lastre di marmo. Il Musa seppe poi come scavare parallelamente o perpendicolarmente alle fibre del durame, secondo le esigenze del disegno e la complessa trama dell’intaglio dettata da una inesauribile vena creativa. Uomo colto, sensibilissimo poeta e scrittore, il Musa iniziò la sua attività ripercorrendo a ritroso il cammino dell’arte per studiare a fondo, insieme all’opera degli incisori locali, anche quella dei grandi cinquecentisti italiani e stranieri, da Dürer a Grien, da Stimmer a Moreelse, da Goltzins a Wechtlin. Poi ancora, in uno scorcio di secoli che porta all’età contemporanea, il Musa guardò a Mariette, Seur, Prestel, Rosaspina, Jackson e, più avanti, a Manet, Vibert, Verhaeren, Le Père Rivière, Colin, Paul, Beardsley, Nicholson, Brangwin, Klemm, Thiemann, Stoizner, Junqnickel, Marc, Pechestein, Picasso, Braque, Morandi e, in particolare, a de Carolis sperimentatore di nuove tecniche, che con l’autoritratto (1904) aprì nuovi orizzonti alla xilografia, pur nell’evidente ricordo dei chiaroscuristi antichi. Ma pur scavando nel tempo e nell’opera dei maestri di ogni età, il Musa rimase sostanzialmente se stesso: un sottile vedutista e raffinato illustratore che contribuì, con estrema coerenza, alla rinascita del chiaroscuro nel travagliato, se pur fecondo, periodo novecentista. La lastra lignea del Musa nasce da un capzioso studio della composizione. Nell’intavolazione del quadro, gli elementi architettonici, paesaggistici e figurativi si fondono in un complesso intreccio prospettico. Le linee di fuga tagliano di preferenza il piano secondo quell’andamento diagonale che il Correggio introdusse nei capolavori sacri della maturità. Le due xilografie Vecchia Bedonia e Lungo il Pelpirana, che inquadrano luoghi caratteristici del mai dimenticato Appennino parmense, offrono una immagine quasi speculare di soggetti espressi attraverso una personalissima metodologia concettuale e operativa, costantemente riproposta nella consapevolezza della raggiunta unità di stile. Anche nella nitida inquadratura che coglie in primo piano Il suonatore d’organetto, l’incisiva ferita della sgorbia taglia, con la precisione di un bisturi nella mano del chirurgo, l’ampia superficie della composizione. Si delinea così un contrappunto di nitidi contrasti tonali che la sapiente pressione del torchio, sulla lastra inchiostrata, rende luminoso sulla pagina stampata. Tra le ultime opere del Musa, realizzate alla fine degli anni Cinquanta, è da segnalare la serie dei personaggi manzoniani tratti dai Promessi sposi, bizzarramente trasformati in docili o aggressivi animali, colti in atteggiamenti che evidenziano un’acuta ricerca psicologica dei soggetti, rievocati in perfetta aderenza allo spirito del romanzo. Il bestiario moderno, che sotto un certo aspetto si riallaccia agli altorilievi dello zooforo antelamico del Battistero di Parma, presenta un gruppo di pennuti, di fiere, di falchi e di colombe riccamente abbigliati nei costumi d’epoca, che, per espressività e atteggiamento, ricordano pregi, virtù e difetti dei personaggi usciti dalla fantasia del grande romanziere milanese. Con le immagini vive e spregiudicate dei protagonisti del grande affresco letterario ottocentesco, si può dire che si concluse la parabola operativa del Musa xilografo. La sua variatissima produzione, che abbraccia un lungo periodo di intensa attività, è legata spazialmente e temporalmente a paesi stranieri, a molte regioni italiane e alla sua terra di origine, con principali punti di approdo in Eritrea, Romagna, lombardia, Piemonte, Carnia, Molise, Sardegna, Liguria e Appennino Emiliano. In questi luoghi il Musa lasciò il segno del suo versatile ingegno. Basta menzionare le già ricordate chiese e cappelle gentilizie affrescate a Campobasso, Boiano, Bedonia, Codogno di Albareto, Isola di Compiano e Borgo val di taro, le pergamene istoriate, gli oli, le tempere, le sculture, le illustrazioni (che spesso integrano visivamente le sue composizioni poetiche e letterarie) e l’intero corpus xilografico, per rendersi conto del significato culturale di un prezioso patrimonio artistico che merita di essere più profondamente e dettagliatamente divulgato e conosciuto. Il numero delle opere del Musa, sia pittoriche che xilografiche è enorme. Attraverso di esse, si possono seguire le tappe della sua vita e l’evolversi della sua arte. L’opera omnia del Musa, donata dagli eredi, è esposta dal 1993 in sale a lui dedicate e situate nel Seminario vescovile di Bedonia.
FONTI E BIBL.: Septimanie, Narbonne, 1931, VII, 79-81; L. Servolini, Tecnica della Xilografia, Milano, 1935; E. Toth, Az uj Olasz Fometszömuvészet., Debrecen, 1938; L. Servolini, La Xilografia, Milano, 1950; E. Padovano, Dizionario artisti contemporanei, Milano, 1951; La Piè maggio-giugno 1954; L. Servolini, Dizionario illustrato incisori italiani moderni e contemporanei, Milano, 1955; Aurea Parma luglio-settembre 1956; Gazzetta di Parma 8 gennaio e 23 marzo 1958; L. Servolini, Gli Incisori d’Italia, Milano, 1960; Arte incisione a Parma, 1969, 67; A.M. Comanducci, Dizionario dei pittori, 1973, 2166-2168; Dizionario Bolaffi Pittori, VIII, 1975, 58; G.Capelli, in Gazzetta di Parma 31 luglio 1982, 3; Bedonia, 1998, 20-21.

MUSA SEVERINO
Drusco 19 luglio 1885-Bedonia 6 maggio 1971
Figlio di Giovanni, possidente, e di Ermenegilda Antolotti. Sposò Clotilde Lusardi il 13 luglio 1912. Compì i propri studi tra Piacenza, Firenze e Parma, ove si laureò in Medicina l’8 luglio 1911. Dal 1° settembre dello stesso anno al luglio 1921 ebbe l’incarico di medico condotto e Ufficiale sanitario al comune di Compiano. Durante il primo conflitto mondiale fu Capitano nella Sanità della Terza Armata sul Piave. Dal 28 luglio 1921 fino al marzo 1924 fu Medico Ufficiale sanitario della prima condotta di Bedonia, dopodiché tale incarico gli venne tolto per manifesto antifascismo (sospettato anche di appartenere alla formazione Italia Libera, fu sfidato a duello). Partecipò vivamente alla lotta di liberazione antifascista e un attestato di gratitudine gli venne rilasciato dalla 32a Brigata Garibaldi Monte Penna. Reintegrato nell’esercizio della condotta bedoniese, vi rimase fino al 30 aprile 1953, quando fu collocato a riposo. Fu per vari anni, a partire dal 4 maggio 1949, delegato della Croce Rossa Italiana. Il Musa fu profondo cultore di storia locale, attività per la quale si guadagnò la carica di Ispettore onorario all’Archeologia per il Comune di Bedonia, conferitagli dalla Direzione Generale della Soprintendenza Archeologica di Roma. La precisione e lo scrupolo del Musa nell’annotare tutti i ritrovamenti archeologici delle varie località bedoniesi, riportandoli poi nelle sue pubblicazioni, rendono queste ultime ancora particolarmente preziose per chi intenda avvicinarsi allo studio della storia locale (il corpus delle indicazioni del Musa può ritrovarsi in Renato Scarani, Repertorio di Scavi e Scoperte dell’Emilia Romagna, Bologna, Forni, 1963). Si riportano i titoli di alcune pubblicazioni del Musa: Documenti litici preistorici della gens Penninica nell’Alta Val di Taro e in Val di Ceno, in Corriere Emiliano 11 luglio 1939, Il coltello della gens Penninica, in Giovane Montagna 9 1942, Il Castello di Montarsiccio, in Bollettino Storico Piacentino 50 1955, I Liguri Ilvati, manoscritto inedito nell’Archivio della Soprintendenza Archeologica, Bologna.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 14 febbraio 1959; Severino Musa, in Gazzetta di Parma 30 marzo 1971, 10; Il dottor Severino Musa si è spento, in Gazzetta di Parma 8 maggio 1971; Ricordo del dottor Musa, in Gazzetta di Parma 9 giugno 1971; F. da Mareto, Bibliografia, II, 1974, 728.

NEGRI CORRADO
Montesalso di Varano de’ Melegari 1316
Figlio di Guglielmo Guidotto. Fu medicus oculorum e tenne cattedra di medicina all’Università di Parma nell’anno 1316.
FONTI E BIBL.: M. Castelli, I Pallavicino di Varano, 1997, 153.

NEGRI GIOVANNI
Cereseto di Compiano 1857-Piacenza 1928
Si laureò in lettere nel 1884 all’Università di Pisa. Nello stesso anno conseguì il diploma di magistero alla Scuola Normale di Pisa e nel 1885 si laureò in filosofia. Si dedicò quindi all’insegnamento di lettere nelle scuole medie superiori di varie città italiane (Ascoli, Cagliari, Forlì, Bergamo, Pavia) e nel 1903 si trasferì a Piacenza per ricoprire la cattedra di italiano e storia dell’Istituto tecnico Romagnosi.A Piacenza il Negri rimase per il resto della vita. Spirito profondamente religioso, concepì l’insegnamento come una missione alla quale si dedicò interamente. Critico acuto e penetrante, dotato di una vasta erudizione non solo letteraria ma anche filosofica, biblica e patristica, rivolse in modo particolare la sua attenzione al Manzoni e al Leopardi. Pubblicò infatti Sui Promessi Sposi di A. Manzoni. Commenti critici, estetici e biblici (Milano, 1903-1906, due volumi), ove analizza il romanzo dimostrando una straordinaria erudizione e prende in esame la critica precedente, tra cui quella di Fogazzaro, alla quale dedica l’ultima parte del saggio. Sul Leopardi compose un’opera di carattere antologico in sei volumi (Divagazioni Leopardiane, Pavia, 1894-1899) nella quale sono raccolti innumerevoli saggi e note critiche sul corpus poetico del recanatese. Il Negri si occupò anche di Dante e pubblicò alcuni articoli su riviste specializzate e in raccolte di studi vari.
FONTI E BIBL.: E. De Giovanni, Piacenza dovrebbe ricordare la figura di Giovanni Negri, in Libertà 3 novembre 1951; E. Mandelli, Studi danteschi di Vittorio Osimo e di Giovanni Negri, in Piacenza e Dante, Piacenza, 1967, 158-163; Mille pagine sui Promessi Sposi di un professore del Romagnosi, in Libertà 26 novembre 1973; C.E. Manfredi, in Dizionario biografico piacentino, 1987, 290-291.

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