VALCENOPERSONAGGI. IL CARDINALE ANTONIO SAMORE’ – 1^ PARTE.

IL CARDINALE ANTONIO SAMORE’ BARDIGANO BENEMERITO

 By Giuseppe Beppe Conti. – 1^ PARTE

Pagine tratte dal testo di Nuovo L. – Il cardinale Antonio Samorè. Sacerdote e diplomatico al servizio della chiesa e della pace – Sorriso Francescano – 2005

LA VITA LA CARRIERA

Antonio Tullo Giuseppe Samorè nacque a Bardi (allora Provincia di Piacenza e tutt’ora Diocesi piacentina) il 4 dicembre 1905 da Gino (1877-1956) e Giuseppina Basini (1880-1933); I suoi genitori si erano sposati nel giugno 1901 ed avevano gia una figliola Iolanda (1902-2000). II piccolo Tonino, come abitualmente veniva chiamato in famiglia, venne battezzato il 16 dicembre,dal parroco Giuseppe Morini. II padre originario di Brisighella, era stato carabiniere. “Messo in congedo’ ‘Si stabilì a Bardi e divenne impiegato all’anagrafe. II Comune aveva la sua sede nel castello e a noi fu assegnata un’abitazione tra quelle mura turrite: “io crebbi tra i due grandi cortili e il panorama che dall’ Appennino, nell’ondeggiare dei colli verso il Taro”. La diligenza nel fare le cose, fu fin dall’infanzia, una nota caratteristica della personalità di Antonio Samorè. La prima maestra Rosa Maruffi “amica della mamma” lo guidò nei primi studi, Tonino ne ebbe sempre un grato ricordo e mantenne con lei cordiali relazioni fino alla morte avvenuta nel 1958. Il piccolo Tonino e la sorella Iolanda crebbero in un ambiente sereno, ma sobrio ed essenziale,che ricorderà così: “La mia fu un’infanzia austera. Il necessario non mancò mai il superfluo neppure lo cercai. Il 24 giugno 1915 ricevette la Cresima dal vescovo di Piacenza mons. Giovanni Maria Pellizzari(1851-1920). Faceva parte dei chierichetti della parrocchia, svolgendo il suo servizio in modo assiduo, puntuale e fedele. Così scriveva: “All’ età di nove o dieci anni fui invitato dal curato di allora don Egidio Bottini, a far parte dei chierichetti”. Dopo qualche anno l’arciprete parroco mons. Egidio Piazza, contento del buon servizio si rivolse a mamma Giuseppina e le disse: “Signora, Tonino non potrebbe andare in Seminario? – La mamma rispose – domandiamolo a lui”. Avvenne proprio così. Chi infatti chiedeva al futuro cardinale a chi dovesse oltre al Signore, la propria vocazione, si sentiva immancabilmente rispondere: “a mia mamma e al mio parroco”. Ricorderà, inoltre, che non sapeva che cosa volesse dire andare in Seminario; me lo spiegarono; ci pensai e risposi di si”. Fu un si fedele e convinto.

 

Nell’ottobre 1916 Tonino entra nel Seminario di Piacenza, il distacco dalla famiglia e dal paese fu doloroso, anche perche non era stato assegnato al vicino Seminario di Bedonia, ma appunto al Seminario Urbano di Piacenza. Passato il primo momento di sofferenza si trovò bene e ci rimase volentieri. Di questo periodo ricorderà con stima il direttore spirituale: mons. Tarquinio Mosconi e il rettore mons. Luigi Tammi e i professori mons. Umberto Malchiodi poi vescovo di Piacenza e mons. Adelchi Albanese poi vescovo di Viterbo. Conclusi gli studi al Seminario urbano di Piacenza vinse il concorso di ammissione e passò come alunno del Collegio Alberoni, aperto nel 1751 dal cardinale Giulio Alberoni e affidato ai Preti della Missione di san Vincenzo de Paoli. Era il settembre del 1921, superiore del collegio era padre Alcide Marina (1887-1950). L’ambiente era signorile, culturalmente vivace, raccolto e impegnativo. Ricordando quel periodo dirà:” Furono anni di grande austerità, ma non mi pesarono non ne fui mai infastidito neppure quando a sera venivamo chiusi a chiave nelle nostre stanzette, nel lato più quieto dell’edificio con le finestre a mezzogiorno, sul giardino”. Si deve all’intuizione di padre Marina se, in accordo con il vescovo di Piacenza Ersilio Menzani (1872-1961), alcuni alunni dell’Alberoni entrarono al servizio diretto dalla Santa Sede: i cardinali Agostino Casaroli, Silvio Oddi, Opilio Rossi e Luigi Poggi, e i vescovi Artemio Prati, Carlo Martini. Il cardinale Samorè rimase sempre affezionatissimo al suo Collegio, alla spiritualità e all’esempio di carità di san Vincenzo de Paoli e non mancava di presenziare a feste e momenti celebrativi. Al Collegio Alberoni ricevette “l’impronta indelebile, non solo di una ordinaria cultura, ecclesiastica e generale… ma soprattutto di una spiritualità che può ben essere definita vincenziana. Una spiritualità robusta e insieme dolce; profonda e restia a vistose manifestazioni esteriori”. Nelle molteplici attività e nei diversi luoghi in cui Samorè si trovò a svolgere il suo servizio, mai dimenticò i tre punti cardini dell’insegnamento di san Vincenzo de Paoli: la missionarietà, la formazione del clero e l’attenzione alle varie forme di povertà.

 

Completati gli studi teologici, il 10 giugno 1928 venne ordinato sacerdote nella cattedrale di Piacenza da mons. Menzani. Il giorno seguente celebrò la prima messa nella Chiesa di San Lazzaro, assistito dal padre Marina e nell’estate finalmente a Bardi. Al pranzo che seguì non invitò solo i parenti e la gente più in vista del paese, ma anche anziani e persone semplici della popolazione. Si laureò in Teologia, il 29 giugno 1929, discutendo la tesi di carattere storico-dogmatico sul primato petrino negli anni 452-523 dal titolo: “Prima sedes a nemine iudicatur”.

Fu quindi inviato a prestare il suo primo servizio pastorale nella parrocchia cittadina di San Savino; in qualità di curato. Prevosto era mons. Pio Cassinari (1870 – 1936) il quale, pur non essendo molto anziano, era molto malfermo di salute,”mi diede fiducia, mi lasciò fare e mi affidò la gioventù maschile, l’istruzione catechistica, l’assistenza ai malati. Curavo, inoltre, il bollettino parrocchiale”. Dovette sostituire pressoché in tutto monsignor Cassinari nei periodi non brevi in cui questi era infermo. Racconterà: “Mi trovavo bene”, nel frattempo la mamma, il babbo e la sorella lo avevano raggiunto in città. 

In Lituania

 

Erano trascorsi tre anni circa da quando era giunto a San Savino e il giovane sacerdote desiderava chiedere al vescovo che gli fosse assegnata una Parrocchia in campagna, ma un giorno gli giunse una richiesta del tutto inattesa. “P. Alcide Marina lo convocò in Collegio e senza mezzi termini gli chiese: “Vuole andare in Lituania con monsignor Arata? Risposi: Signor Superiore se crede che possa farlo”‘,’ ‘Monsignor Antonino Arata (1883-1948) era anch’egli alunno del Collegio Alberoni. Fu inviato in qualità di incaricato d’Affari della Santa Sede in Lituania ed in seguito venne nominato vescovo titolare di Sardi e consacrato dal Card. Eugenio Pacelli nella basilica di san Pietro: Mons.Arata aveva chiesto a Roma che gli mandassero qualcuno “perché il lavoro era molto e da solo non ce la faceva. Gli risposero di non aver nessuno da inviargli e gli consigliarono di cercarsi lui stesso un collaboratore”. Per questo monsignor Arata si era rivolto al P. Marina per avere consiglio e l’indicazione di qualche sacerdote; Quest’ultimo ne parlò con il vescovo Menzani che si mostrò favorevole. Quando giunse la richiesta ufficiale da parte del Sostituto della Segreteria di Stato mons. Ottaviani (1890-1979) la cosa era maturata. Venne fatta la proposta a don Samorè che, passato il momento di turbamento e pianto, anche per il pensiero di lasciar soli il babbo, la mamma e la sorella, accettò. La mamma morì qualche mese dopo la sua partenza. La procedura era indubbiamente insolita, ma spiegabile con il fatto che la Santa Sede , dopo la prima guerra mondiale e già durante il pontificato di Benedetto XV, proseguito con Pio XI, aveva allacciato relazioni diplomatiche con diversi stati, per cui aveva bisogno di molto personale diplomatico. Normalmente, infatti, si entra al servizio diplomatico della Santa Sede dopo una adeguata preparazione alla Pontificia Accademia Ecclesiastica di Roma e talvolta con un tirocinio più o meno lungo alla Segreteria di Stato, ma per don Antonio le cose presero un’altra piega. Era la fine di settembre del 1932. Incominciava una straordinaria esperienza che lo accompagnò per tutta la sua vita: alla missione sacerdotale si univa la missione diplomatica. La Lituania fu per circa sei anni il campo di lavoro di don Antonio; lavoro totalmente nuovo, irto di difficoltà che misero presto alla prova la sua prudenza e il suo spirito di sacrificio che meravigliarono monsignor Arata che apprezzò il suo collaboratore. Difficoltà anche perché ad un certo punto si trovò Incaricato d’Affari durante un’assenza di monsignor Arata che nel 1936 diverrà Nunzio”. In quegli stessi anni ebbe modo di compiere diversi viaggi e missioni nella vicina Polonia e nei Paesi Baltici. Negli anni passati a Kaunas monsignor Samorè si affezionò molto alla Lituania “e il suo cuore non si stacco mai dalla sorte infelice di una nazione cattolica fiera della propria identità”, che nell’agosto 1940 verrà invasa dalle truppe sovietiche perdendo la propria indipendenza. “Sempre nel dopoguerra e fino alla morte, monsignor Antonio Samorè fu amico affettuoso e sollecito della comunità lituana, incoraggiando ogni iniziativa religiosa, culturale e di soccorso che sostenesse la causa del popolo oppresso e ne tenesse viva la fiera anima in attesa di risorgere”. Intanto nel 1938 aveva conseguito presso la Lateranense la laurea in Diritto Canonico con la tesi: “Concordatum inter Sanctam Sedem et Hispaniam anni 1717”. Passò un breve periodo presso la Nunziatura Apostolica di Berna in qualità di Incaricato d’Affari. Venne quindi chiamato a Roma a lavorare alla Segreteria di Stato dove lo volle monsignor Domenico Tardini, contento del servizio svolto, dell’impegno profuso dal giovane Samorè. In Segreteria di Stato negli anni che vanno dal 1938 al 1947 monsignor Samorè lavorò a fianco del Cardinale Eugenio Pacelli, Segretario di Stato di Pio XI e poi papa Pio XII, dei monsignori Domenico Tardini (1888-1961) e Giovanni Battista Montini (1897-1978), poi papa Paolo VI. Furono gli anni terribili dell’Anschluss austriaco, della crisi di Monaco, dell’occupazione tedesca della Cecoslovacchia, del patto russo-tedesco, dell’invasione della Polonia e del conseguente scoppio della Seconda Guerra mondiale. Anni di grande sofferenza, distruzioni, crudeltà atroci, deportazioni di Ebrei e di altre popolazioni e le prove dure che affliggevano la Chiesa prima nei territori occupati dai nazisti, poi dai comunisti. L’immenso lavoro svolto dalla Santa Sede in quei terribili anni si trova negli undici volumi degli “Actes et Documents du Saint Siege relatifs a la Seconde Guerre mondiale”. Ricorderà di quel periodo: “quanti appunti miei mi ritornarono con una annotazione del Card. Maglione, che con la sua larga calligrafia, sapeva occupare tutta una riga per dire: card Samorè! E quando l’annotazione cominciava così, quel card era lo zuccherino per addolcire la risposta negativa”. Nella primavera del 1941 mons. Samorè allora minutante della prima sezione della segreteria di Stato visitò i vescovi del Nord Italia per comunicare oralmente le disposizioni relative ad un atteggiamento prudente nei riguardi del fascismo anche perché si temeva qualche provocazione da parte dei fascisti più intransigenti. Si paventava una “campagna scandalistica contro il clero”. Fu soprattutto con monsignor Domenico Tardini che il minutante Samorè entro in sintonia di lavoro, stima, collaborazione, amicizia che durerà fino alla morte del primo. Alla scuola di Tardini apprese “non senza fatica la disciplina e la riservatezza; disciplina che diviene costume, abito mentale, che costa fatica acquisire, ma che non si perde più”, soprattutto per uno che aveva un carattere di base,emotivo e sensibile come il Samorè. Negli anni della guerra mons. Samorè era incaricato di seguire la situazione in Polonia e in seguito di occuparsi della sorte degli ebrei che venivano deportati in Germania. Mons. Samorè aveva redatto nel 1942 la bozza di lettera al ministro degli esteri Joachim van Ribbertop sulla dolorosa situazione in cui si trovava la Polonia. Stese , inoltre, nel giugno del 1944, un memorandum di risposta al rappresentante del presidente Roosevelt presso la Santa Sede Myron Taylor. Quest’ultimo aveva chiesto di avere per iscritto il punto di vista del papa a riguardo del comunismo. Il testo preparato da Samorè, rivisto da Tardini, venne presentato a Pio XII che vi apporto soltanto due modifiche. “Il memorandum di Samorè opponeva le realtà dei fatti conosciuti alle promesse in cui voleva cullarsi il presidente Roosevelt. La situazione religiosa in Unione Sovietica non dava alcun segno di miglioramento. La legislazione antireligiosa restava in vigore”. I membri del clero che erano sopravvissuti si trovavano sovente in carcere o comunque impossibilitati a svolgere il loro ministero. Prestava anche il suo servizio per dare informazioni ai parenti che non sapevano nulla dei loro congiunti. Il lavoro assiduo con queste “personalità di grande rilievo, di eccezionale finezza diplomatica e personale dignità” fu per lui certamente una grande scuola di vita sacerdotale e diplomatica.

FINE PRIMA PARTE – BY GIUSEPPE BEPPE CONTI

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