CARTOLINA IN COPERTINA DALLA COLLEZIONE DI FILIPPO ANTONIAZZI
INAUGURAZIONE UFFICIALE DEL RESTAURO DEL MONUMENTO AI CADUTI Domenica 4 Novembre 2018
Gli avvenimenti di Lunedì 12 Settembre 1921 nel discorso di inaugurazione.
BARDI DOMENICA 4 NOVEMBRE 2018
Buona parte della popolazione maschile adulta delle province di Parma e PC parteciparono direttamente alla guerra, a diversi gradi di consenso o a diversi gradi di contrarietà. I morti, i feriti ed i mutilati furono molte migliaia. Ma la guerra non fu soltanto una dolorosa statistica. In più ciò che essa significò per chi restava a casa; guerra totale, la prima guerra mondiale coinvolse nello sforzo bellico la popolazione civile come non mai e il fronte interno richiese anche a essa sacrifici e rinunzie. Insomma, la Grande Guerra fu tragica anche nella nostra provincia, pur non essendo essa propriamente e realmente in zona di guerra, sebbene tale venisse formalmente dichiarata dopo Caporetto. E’ facilmente intuibile che un intero, piccolo mondo provinciale subisse una trasformazione notevole e la guerra costituì per la società locale un crinale memorabile, dopo il quale il mondo di ieri, il mondo prebellico della relativa sicurezza e della relativa tranquillità, non era più possibile. Finita la guerra nel novembre 1918, si presentò all’ordine del giorno del dibattito pubblico la valutazione e l’elaborazione dell’esperienza di guerra fra i contrapposti pareri; chi aveva approvato e chi no; ma l’esperienza fondamentale della guerra, la morte di massa, in tutti i paese belligeranti provocò una espansione incommensurabile di lutto. Ma il lutto non fu il sentimento esclusivo provocato dalla guerra, perché a esso si congiunse, nei reduci, un sentimento di orgoglio per aver partecipato a una causa nobile, soffrendo per essa: la causa santa, per la gloria e l’interesse per la nazione che doveva, in qualche modo essere ricordata e celebrata. In Europa, i simboli tangibili del mito furono i cimiteri di guerra ma, nei luoghi dove non vi fu un contatto diretto con gli avvenimenti bellici furono i monumenti i “centri focali dei rituali, della retorica, e delle cerimonie di lutto”. I primi monumenti ai caduti della prima guerra mondiale furono inaugurati durante la guerra stessa a caduti legati ai sindacati, alle Camere del Lavoro ad esempio.
Nel travagliato dopoguerra italiano, il movimento per la commemorazione dei caduti prese ovviamente altra e maggiore consistenza e possiamo distinguere tre fasi della storia post-bellica, che valgono come contesto in cui è necessario collocare in qualche modo anche la storia dei monumenti ai caduti: gli anni del “biennio rosso” (1919-1920), in cui sembrava che fosse all’ordine del giorno la rivoluzione sociale; gli anni del “biennio nero” (1921-1922), in cui si affermò il fascismo; infine il periodo 1923-1925 in cui si posero i primi fondamenti della dittatura e poi, dal 1925, il regime fascista stesso.
Se nel 1919-1920 i monumenti talvolta stentavano a essere accettati addirittura osteggiati o respinti in quei comuni in cui prevalevano o erano massicce le forze del socialismo massimalista, nel “biennio nero”, quando ormai le speranza rivoluzionarie erano state sconfitte, il canone della glorificazione della guerra cominciò ad affermarsi e iniziò a rovesciarsi fra lapidi e targhe da una parte e monumenti e busti dall’altra. Nel 1921-1922 cominciarono a crescere consistentemente le iniziative e l’inaugurazione dei monumenti ai caduti. E proprio nel 1921, fra gli altri fu inaugurato – LUNEDI’ 12 SETTEMBRE 1921 il monumento di Bardi. Ormai la costruzione di un monumento era diventato un compito di una certa complessità: nella ideazione e nel progetto la mano passava agli artisti, non più alle piccole ditte artigiane di marmo . Scultori e architetti locali ebbero numerosi incarichi e le imprese che li realizzano erano spesso imprese di fama nazionale.
Nel periodo in oggetto non era ancora il fascismo a promuoverli. Fu sopratutto l’ANC e l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra che giocarono un ruolo rilevante e si mossero di conserva anche altre associazione come il Fascio Nazionale delle Donne Italiane o l’Associazione delle Madri e Vedove di caduti oltre ad altre categorie o gruppi professionali interessati.
Insomma, nel 1921-1922 il mito dell’esperienza della guerra non era ancora prerogativa del fascismo, perché le forze democratiche erano ancora presenti e probabilmente prevalenti nel movimento per la costruzione dei monumenti. Poi dal 1923 il mito fu appannaggio della nascente dittatura.
Sin dal 1919, di solito il percorso per la costruzione di un monumento iniziava con la formazione di un comitato promotore, sollecitato dalla Amministrazione Comunale oppure per iniziativa di ex-combattenti; talvolta coadiuvato da un comitato femminile, il comitato, a sua volta, promuoveva una sottoscrizione popolare e numerose azioni per la raccolta fondi (feste popolari, rappresentazioni teatrali, lotterie e altro ancora), spesso insufficienti per il monumento donde l’intervento dell’ente locale o di una banca per colmare la differenza.
Anche la toponomastica, strade, vie, piazze si adeguò alle vicende belliche (a Bardi, piazza Vittoria, via Vittorio Veneto).
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