Se molteplice, varia e complessa fu l’attività artistica del Musa, non vi è dubbio che l’opera che più di tutto ne esaltò i pregi e la personalità fu il ricchissimo repertorio xilografico fissato in duemila pezzi, alcuni dei quali toccano un’altissimo vertice di contenuto estetico e di perfezione esecutiva. Paesaggio, figura e tavolette di ex libris nacquero dalla sua fervida fantasia di infaticabile creatore. Conobbe a fondo la botanica appenninica e scelse con occhio esperto gli alberi adatti (pero, noce, bosso) per ottenere tavole compatte e senza nodi, da rendere levigate come lastre di marmo. Il Musa seppe poi come scavare parallelamente o perpendicolarmente alle fibre del durame, secondo le esigenze del disegno e la complessa trama dell’intaglio dettata da una inesauribile vena creativa. Uomo colto, sensibilissimo poeta e scrittore, il Musa iniziò la sua attività ripercorrendo a ritroso il cammino dell’arte per studiare a fondo, insieme all’opera degli incisori locali, anche quella dei grandi cinquecentisti italiani e stranieri, da Dürer a Grien, da Stimmer a Moreelse, da Goltzins a Wechtlin. Poi ancora, in uno scorcio di secoli che porta all’età contemporanea, il Musa guardò a Mariette, Seur, Prestel, Rosaspina, Jackson e, più avanti, a Manet, Vibert, Verhaeren, Le Père Rivière, Colin, Paul, Beardsley, Nicholson, Brangwin, Klemm, Thiemann, Stoizner, Junqnickel, Marc, Pechestein, Picasso, Braque, Morandi e, in particolare, a de Carolis sperimentatore di nuove tecniche, che con l’autoritratto (1904) aprì nuovi orizzonti alla xilografia, pur nell’evidente ricordo dei chiaroscuristi antichi.
